Chi nega l’Olocausto su Facebook verrà cancellato
Mark Zuckerberg torna ad esporsi dopo le recenti polemiche, con la volontà di rassicurare la propria audience sui contenuti presenti sulla sua piattaforma. Come? Mandando segnali forti che vale la pena analizzare. L’ultimo risale ad alcune settimane fa ed è un monito a quei profili che ancora negano l’Olocausto su Facebook.
Ban immediato per chi offre versioni distorte dell’Olocausto su Facebook
Così la voce più autorevole del social si è così espresso alcuni giorni fa. Decisione dovuta “all’aumento ben documentato dell’antisemitismo a livello globale ed all’allarmante livello di ignoranza sull’Olocausto, soprattutto tra i giovani”.
Una svolta inaspettata rispetto alle posizioni del 2018
Due anni fa lo stesso Zuckerberg aveva dichiarato che Facebook non avrebbe rimosso tali contenuti, ammettendo che il social avrebbe potuto commettere “errori involontari”. Nello specifico, significa rischiare che il machine learning si possa inceppare nella lettura di certe parole chiave e punire incolpevoli. Tuttavia, due anni dopo, sembra che questo problema sia ormai ovviato.
La ricerca che ha allarmato il proprietario di Facebook
La statistica citata dall’autore di tali dichiarazioni è molto preoccupante. Quasi il 25% degli adulti americani di età compresa tra i 18 e i 39 anni crede infatti che l’Olocausto sia “falso o esagerato” oppure afferma di non ritenersi certo del fatto che sia realmente accaduto.
Il dualismo in cui il social è stato costretto a vivere
Per mesi, il dilemma è stato difendere la libertà di espressione o combattere il danno causato dal minimizzare o addirittura negare l’orrore dell’Olocausto. Alla fine le statistiche hanno avuto un peso considerevole per far pendere l’ago della bilancia da una parte. “Tracciare le linee giuste tra ciò che è o non è un discorso accettabile non è affatto semplice, ma con lo stato attuale del mondo, credo che questo sia il giusto equilibrio“.
Linea ancora non condivisa da tutti i social network
Non tutti i social però sono allineati a questo pensiero. Twitter, ad esempio, ha ancora una posizione indecisa sulla questione. E’ necessario però che ogni piattaforma sappia distinguere tra il diritto di concedere l’opinione e quello di offendere la memoria di milioni di persone. A prescindere da quanti utenti rischia di perdere nella scelta.
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