Raccontare la tragedia dell’Olocausto attraverso Instagram
Gli anni avanzano e spesso è difficile tenere vivo il monito degli episodi che hanno caratterizzato la nostra storia. Le nuove generazioni, per ragioni anagrafiche, sempre meno possono beneficiare dei racconti dei nonni, che hanno vissuto sulla loro pelle l’impatto dei periodi di guerra. Con il passare degli anni, le pagine della nostra memoria, anche quelle più significative, rischiano di ingiallire. Raccontarle ai nostri figli diventa sempre più difficile. Anche perché cambiano gli strumenti di comunicazione, e con questo i codici di comunicazione.
In questo articolo parliamo di come si è raccontata la tragedia dell’Olocausto attraverso Instagram.
Un pericoloso costume
Da settimane, i quotidiani narrano della denuncia postata dalla pagina ufficiale del memoriale di Auschwitz, per provare a fermare questa pericolosa moda di farsi selfie e fotografie poco consone in un territorio dedicato alla memoria. Giovanissimi immortalati in punta di piedi sui binari, con espressioni buffe dinnanzi ad un luogo che dovrebbe evocare ben altri sentimenti. Facile sarebbe dare la colpa ai sistemi scolastici, a professori o famiglie, forse non sempre adeguatamente preparati a vivere (e far vivere ai ragazzi) queste occasioni educative. Il nocciolo della questione riguarda soprattutto la consapevolezza degli individui. Comunicare un bagaglio di emozioni non è sempre facile.
L’iniziativa
Esistono maniere diverse per accompagnare lo studente a questa presa di coscienza senza apparire fuoriluogo o retorici? A questa domanda risponde l’imprenditore Mati Kochavi che, con l’aiuto di sua figlia, ha dato il via ad un progetto davvero speciale. Usare lo storytelling in un canale prettamente giovanile per avere un vero coinvolgimento dei ragazzi, e provare a farli immedesimare nella situazione che si vuole narrare.
Eva.Stories
Questa è la genesi della pagina di Eva.stories. Che dal primo maggio sta raccontando la vita, e purtroppo la morte, di Eva Heyman, 13 anni, ebrea di Nagyvárad, Ungheria. La giovane ha tenuto un diario sulla sua vita, a partire dal 13 febbraio del 1944 e fino al 30 maggio: tre giorni dopo Eva viene deportata ad Auschwitz e lì muore. Da tali pagine proviene l’ispirazione di Mati Kochavi. Che con sua figlia ha canalizzato quelle righe in una serie di post, per rendere maggiormente fruibile questa sfortunata storia ad una audience potenzialmente enorme.
Così recita la pagina
«In memoria di sei milioni di ebrei» la dedica sentita dell’account. «I sopravvissuti ancora vivi sono sempre meno, dobbiamo trovare un nuovo modo per diffondere le testimonianze e tenere viva la memoria» ha detto Kochavi. Il museo dell’Olocausto Yad Vashem non ha commentato direttamente ma ha fatto sapere che l’uso dei social media per commemorare le vittime è «legittimo».
Non sono mancate le polemiche
Il quotidiano Haaretz, ha trovato l’idea «di cattivo gusto». Nel frattempo però, l’account ha già superato i 600 mila follower . Segno che il messaggio ha avuto la sua diffusione e non ha lasciato indifferenti. Che è stato efficace.
Ci piace pensare che i lettori di questa pagina Instagram siano stati esortati da questa iniziativa ad approfondire, aprendo un libro o facendo altre ricerche su wikipedia o internet. L’idea, piaccia o meno nella sua esecuzione, dimostra senza dubbi grande ingegno e spirito iniziativa. Per la ricerca di comunicazione e interazione di due generazioni per un fine nobile.
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