Dipendenza da videogioco: per l’OMS è una malattia a tutti gli effetti
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha deciso d’inserire la “dipendenza da videogioco” all’interno della categoria “disordini dovuti a comportamenti”.
Scopriamo insieme di cosa di tratta e come approcciare questa tematica delicata.
Sintomi principali della dipendenza da videogioco
Tra i più diffusi troviamo l’impossibilità di riuscire a controllare la frequenza e intensità delle proprie partite ai videogiochi. L’eccessiva priorità data ai videogame rispetto alla propria quotidianità e la persistenza di tali comportamenti nonostante le conseguenze negative. La diagnosi deve giungere dopo un anno di analisi del fenomeno, ma la gravità della condizione può anche ridurre questa tempistica.
Mentre e in altri Paesi, in Asia per esempio, la problematica è stata affrontata anni addietro, in Italia si cominciano a prendere finalmente iniziativa valide e interessanti.
Il fenomeno in Italia
Nella nostro Paese a livello legislativo, ci si è sempre più preoccupati dei contenuti dei videogames rispetto alla loro possibile assuefazione. Ma se nella prevenzione siamo ancora un po’ carenti, la qualità delle cure vanta di alcune ottime realtà. Il primo centro davvero all’avanguardia sulle dipendenze digitali è al Policlinico Gemelli di Roma, il “Centro Pediatrico Interdipartimentale per la Psicopatologia da web” è aperto dal 2016. Ma esistono anche associazioni con l’obiettivo di aiutare i pazienti per casi specifici. L’ESC Team (con sede a Milano) o il Centro Hikikomori (con psicologi sparsi in ogni regione e consulti in tempo reale persino su Skype) sono le più conosciute nell’ambito dei casi legati ai videogiochi. Buone pratiche da tenere d’occhio poiché la delicatezza e la complessità del fenomeno tenga a distanza delle soluzioni improvvisate e che manchino di esperienza, soprattutto.
I tentativi di prevenzione all’estero
In Corea del Sud una legge del 2011 impediva ai videogiocatori sotto i 17 anni di giocare online durante la notte. Ma nel 2016 il provvedimento decadde, lasciando esclusivamente ai genitori l’onere di agire o meno a seconda del caso. In Giappone alcuni provider di videogiochi notificano il troppo tempo che si sta passando davanti un videogame con un messaggio, senza ulteriori contromisure.
In Cina, il colosso videoludico Tencent, ha imposto limitazioni severe sia ai ragazzi sotto i 12 anni che ai 18, che si collegano su “King of Glory”, un popolare mobile game. Del resto, il paese orientale più popolato, fu il primo a dichiarare ufficialmente la dipendenza da videogioco come malattia, nel 2008.
Provvedimenti spesso aggirati
Per quanto queste contromisure siano pertinenti, sono spesso scavalcate da profili falsi (con generalità inventate dell’utente) o simili escamotage per aggirare i divieti. Perciò, in merito a tali problematiche, la migliore “nazione” è la famiglia. Genitori e figli devono essere capaci di dialogare in merito a certe abitudini giornaliere, ed evitare affrettate autodiagnosi dettate da ansia.
L’importanza di non creare terrorismo mediatico
Spetta agli operatori sanitari riconoscere la dipendenza. “La maggior parte dei gamers non ha questo problema, come la maggior parte delle persone che consumano alcol non lo fa in modo patologico“. Ha dichiarato Vladimir Poznyak, uno dei membri dello stesso dipartimento OMS. Mettendo in evidenza perché sia importante parlarne e fare prevenzione, senza però scadere in una caccia alle streghe che può portare a facili allarmismi.
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