eSports: quando anche i Videogame diventano agonistici

Il mondo della tecnologia muta rapidamente anche nella medesima generazione. Oramai siamo distanti dallo stereotipo dei due ragazzini che tornano a casa da scuola e si sfidano alla playstation. Sempre più PC e consolle promuovono le partite competitive online, ognuno a casa propria. Ma anche i tipici tornei in sé hanno smarrito il loro fare amatoriale, proponendo vere e proprie competizioni ambite per i giovani giocatori. Questi ultimi sono considerati dei veri e propri protagonisti con le loro carriere di successo. Conosciamo il mondo degli eSports partendo dal calcio, quando il videogame diventa una professione.
Il mercato che non ti aspetti
Fece scalpore l’anno scorso l’acquisto da parte della società sportiva AS Roma di tre ragazzi. Seddiqi, Carmody e Mirra, età tra i 17 e i 22 anni. Non erano però destinati a un ruolo di futuri Francesco Totti, ma ad impugnare il Joystick contro altri coetanei. Rappresentanti di PSG, Manchester City, Siviglia, Ajax, Valencia e Galatasaray. Tutti a sfidarsi in tornei di natura internazionale. Videogiocatori di mestiere, incanalati in una nuova visione del Calcio, quello che per fidelizzare i tifosi sceglie anche nuove vie. Perché un tempo il biglietto dello stadio rappresentava l’80% dei ricavi, oggi appena il 20%. Di conseguenza le nuove strade sono tutte qui. Si va dal rafforzamento del proprio brand sui social, tour in paesi esotici e i gli incontri “virtuali”.
eSports, un fenomeno destinato a crescere.
Anche se non ce ne rendiamo conto, per il “2017 Global eSports Market Report” di Newzoo, il settore vale quasi 700 milioni di dollari a livello globale. Passando dai 325 milioni di dollari del 2015 addirittura ai 493 milioni del 2016 fino al’ultima stima di 696 milioni. In prospettiva s’ipotizza un ulteriore incremento degli incassi per il 2020, arrivando all’iperbolica cifra di 1,5 miliardi di dollari ( con ben il 114%).
Ma da dove arrivano simili introiti?
Fino all’anno scorso, la percentuale più alta giungeva dagli sponsor (38%). Poi dalla pubblicità generica agli eventi dei tornei (22%). Non dobbiamo dimenticarci ovviamente dei produttori del videogame (17%) che nel nostro esempio è Fifa della Ea. Le “briciole” finali riguardano i diritti mediatici dei canali che trasmettono in streaming gli eventi e la vendita dei biglietti delle fiere dove questi talenti si esibiscono. Perché nomi come Lonewolf92 o Niccolò Mirra magari a voi non diranno nulla, ma in realtà sono veri e proprie superstar sui social e tra i coetanei.
Veri giocatori professionisti
Per loro è un mestiere vero e proprio. Come le controparti sul campo non digitale hanno un allenatore e un piccolo staff che li segue. Sia a livello disciplinare che logistico. Dove non hai solo fama e incassi di un vero atleta, ma anche un pubblico che ti supporta in ogni palazzetto e in streaming, grazie a piattaforme come Twitch. Abbandonando del tutto la concezione antica del ragazzo un po’ “nerd” o problematico, che spreca il suo tempo in cameretta a non fare nulla di produttivo. Con il giusto impegno, consapevolezza di come disporre il proprio tempo e una buona comunicazione con la propria famiglia, si raggiungono risultati che nemmeno gli stessi genitori potevano immaginare qualche anno fa. Al punto da spingere lo stesso Parlamento Europeo a mediare con una regolamentazione specifica sul settore.
Perché una squadra dovrebbe ingaggiare un videogiocatore?
Ne consegue quindi che le gesta di un giocatore di “Fifa 18” può portare una buona parte degli incassi che arriverebbero da una giocata di un calciatore tradizionale. Oltre ad avvicinare ai tuoi colori appassionati magari un po’ distanti dal tuo target e ottenere simpatie da tifosi appartenenti ad altri credo calcistici. In un approccio all’audience sempre meno vincolato alla partita in sé quanto invece alla filosofia e simpatia di un Brand.
L’Italia? In dietro!
La nostra nazione è giunta in ritardo sul fenomeno, poche squadre sono corse ai ripari. Realtà come la già citata Roma, la Sampdoria o l’Empoli. Ma mancano all’appello ancora molte formazioni blasonate. Per quanto la Milan Games Week e l’ESL Cathedral di Lucca verso fine anno scorso siano state portatrici di questo verbo, è ancora poco. Manca ancora una consapevolezza della potenzialità di certi settori e le dovute agorà per poterne discutere a dovere. Abbandonando antichi stereotipi sui videogiochi (ancorati ancora agli anni 80) e sui loro consumatori. Oltre a un problema perenne dal punto di vista delle infrastrutture ancora arretrate. Ovvero la qualità omogeneamente ancora ballerina delle nostre connessioni, che da una parte scoraggiano i gamers, dall’altra minano a certi eventi già organizzati.
Uno spiraglio di luce.
Ma qualcosa di muove, lo stesso Comitato Olimpico Internazionale ha riconosciuto l’importanza degli eSports e si sta muovendo per equiparare tale condizioni ad altre discipline.
Noi saremo pronti a comunicarvi ogni novità in merito e a sostenere (con le dovute contestualizzazioni) questo cambiamento di mentalità nell’attuale panorama mediatico nei confronti delle nuove professioni che la tecnologia crea e sta già creando.
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