La prima scuola italiana che ha detto no agli smartphone
In passato abbiamo già discusso del tema della tecnologia nella dimensione scolastica. Dalle chat informative (“Genitore/Professore”) a quelle che dovrebbero essere le buone regole di convivenza tra device e gli studenti, in luoghi dove dovrebbe regnare la concentrazione reciproca. In certe occasioni, i provvedimenti che ne possono scaturire sono i più vari. A volte anche estremi. A questo proposito vi parleremo della prima scuola italiana che ha detto no agli smartphone.
Il caso
Ha fatto scalpore la notizia del liceo San Benedetto di Piacenza riguardante il divieto assoluto dell’uso di cellulari nell’ambiente scolastico. “Seppur consapevoli della grande utilità di essi, crediamo che il loro utilizzo diventi sempre più una fonte di distrazione, di comportamenti asociali e di conflitto sia a scuola che a casa”. Questa la motivazione addetta dalla dirigenza scolastica in una lettera alle famiglie. Lo scopo quindi è quello di un ritiro preventivo a scopo anche di riavviare un processo di socializzazione a livello della comunità scolastica.
Il meccanismo no smartphone
Per attuare questo provvedimento, la scuola si affiderà all’invenzione di una startup, che negli ultimi mesi è diventata una sorta di trend. I cosiddetti sacchetti Yondr, una sorta di tasca che è possibile sigillare per un periodo di tempo determinato. Utilizzato in passato sia per le anteprime dei film che per concerti musicali (l’ultimo ad introdurli a tal scopo fu il rocker Jack White) per evitare fughe di notizie e rendere più “umana” tale esperienza d’intrattenimento. Allo stesso modo quindi, a scuola si vorrebbe escludere i device per le cinque ore giornaliere. Ha specificato il preside Fabrizio Bertamoni che, in maniera progressiva, aiuterà gli studenti a spiegare le ragioni di tale provvedimento.
Un gesto che fa riflettere
Ma è davvero giusto parlarne ai coinvolti solo a posteriori di tale divieto? Considerando anche la fase adolescenziale che gli studenti stanno attraversando. Senza considerare come, un divieto assoluto riguardante simili pratiche, ci riporta forse indietro di quindici anni rispetto ai dibattiti sulla cultura del digitale. In questo modo si tentava di arginare l’insidia degli smartphone quando ancora, in maniera neutra, li chiamavamo telefonini. Ma, ai tempi, la loro utilità era circoscritta alla mera comunicazione essenziale e qualche giochino a 8 bit. Oggi può essere uno strumento a trecentosessanta gradi di espressività personale, informazione e concreto aiuto logistico. In tale processo, la scuola dovrebbe fungere da coadiuvante alla famiglia nell’educazione al corretto uso di tali strumenti.
Non un compromesso, ma evoluzione graduale
Cercare di portare il mondo pedagogico ad un processo di digitalizzazione non è solo una missione che potrebbe ottimizzare il processo di apprendimento. Basti pensare all’abbattimento dei costi dei libri digitali, fino alla maggiore interattività di una slide proiettata alla lavagna e contemporaneamente disponibile sullo smartphone degli alunni. I vantaggi sono polivalenti, garantendo un coinvolgimento anche più elevato della classe in sé.
Le statistiche
Se ci basiamo sui dati raccolti da Skuola.net l’anno scorso, solo il 10% degli alunni sostiene che tutti i suoi professori abbiano ‘sfruttato’ il cellulare per spiegare. Una cifra del 47% invece, dichiara che solo alcuni docenti lo fanno. Con quale scopo? Un ragazzo su 3 viene esortato ad usarlo ad approfondire le spiegazioni; nel 13% delle situazioni per consultare App durante lezioni e compiti in classe; analoga cifra (13%) lo impiega per prendere appunti e organizzare lo studio. Non sarebbe più utile andare incontro a questi insegnanti? Procedere a tentativi. Registrare le strategie più efficaci al fine di coinvolgere la classe e donar loro un modo diverso di intendere certi percorsi digitali.
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