I diritti dei Baby Influencer
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Un tempo esistevano solo i bambini prodigio dell’industria cinematografica. Gente come Macaulay Culkin di “Mamma Ho Perso L’Aereo”, improvvisamente diventavano milionari e con i genitori a gestire ingenti patrimoni, spesso male.
Il mondo delle webstar ha reso questa ipotesi ancora più alla portata di tutti. Ne consegue che ci siano delle condizioni da dover chiarire e alcuni paesi iniziano a porsi degli interrogativi. Si domandano appunto come gestire i diritti dei Baby Influencer. Vediamo nello specifico.
Chi sono i Baby Influencer?
Innanzitutto è bene circoscrivere la categoria. Per baby influencer si intendono quei bimbi o ragazzini che diventano famosi sul web grazie ad un loro format ideato con i genitori. Spesso parliamo di recensioni di giocattoli, gag costruite con i propri parenti o comunque altre forme di intrattenimento che possano interessare altri coetanei.
Parliamo di una cifra di mercato considerevole
Basti pensare che lo YouTuber Ryan Kaji guadagna in un anno oltre 17 milioni di dollari da solo. Un dato che può far riflettere non solo sull’importanza della tutela di queste realtà, ma anche in merito a come certe attività valgano da sole quanto svariate aziende. E devono essere controllate con serietà.
La prima nazione che se ne occupò: la Francia.
In discussione sin dal 2019, questo disegno di legge per baby influencer fu presentato dal deputato di En Marche, Bruno Studer. Il voto all’unanimità dell’Assemblea Nazionale è arrivato nella seconda metà di ottobre 2020. L’anno dopo la legge sullo “sfruttamento commerciale dell’immagine dei minori di sedici anni sulle piattaforme online” è stata pubblicata sulla gazzetta ufficiale.
Come affronta il problema?
I ragazzi o i bambini che collaborano con aziende e soggetti commerciali in rete avranno dei limiti. Parliamo di veri e propri orari di lavoro comparati a quelli dei bambini attori. Ai genitori è imposto l’obbligo di versare i guadagni su conti a loro intestati, congelabili fino al sedicesimo anno di età.
Ma non finisce qui
Le aziende che vorranno coinvolgere i minori di sedici anni in queste campagne dovranno chiedere autorizzazione alle autorità locali. E nel caso il ragazzo voglia smarcarsi dalle attività svolte da piccolo in rete, da grande, sarà facilitato a farlo. Esercitando un diritto all’oblio e una forma facilitata di pratiche per rimuovere in breve tempo quelli che sono stati i contenuti passati caricati dai parenti.
E in Gran Bretagna?
Le cose iniziano a muoversi anche nel Regno Unito. dopo che una inquietante inchiesta ha fatto emergere un qualcosa che era già intuibile. Ovvero sempre più genitori esortano i propri figli a diventare “famosi”, spinti dalla possibilità allettante di guadagnare bene in poco tempo. Questo processo però può rivelarsi diseducativo per la psiche del soggetto che viene di fatto abituato ad elemosinare approvazione dal contesto intorno a lui. Julian Knight, che fa parte della Commissione che ha realizzato il report, sostiene che dietro queste famiglie patinate ci siano spesso realtà oscure da approfondire.
A cosa mira il parlamento locale?
Una maggior qualità nel controllo delle attività. Dalle condizioni di lavoro fino alla proprietà intellettuale dei contenuti, passando anche della protezione dei guadagni dei minori. La creazione di un vero e proprio scudo che permetta ai piccoli influencer di vivere le loro passioni con serenità.
Nel frattempo in Italia cosa succede?
Nella nostra nazione i baby influencer esistono. Basti pensare al caso di Prince Carlos di appena cinque anni, abbastanza attivo sulla piattaforma di tiktok e sponsorizzato dal già celebre Lele Mora. O Gaia Buru Buru, romana di soli sei anni e già un account da diversi zeri. Quali sono gli interessi di questi bimbi? Riguardano il campo della moda e della musica.
C’è una legge che li tuteli a tal senso?
Non solo non c’è, ma non sembra esserci nemmeno una parvenza di dibattito intorno a questo tema. Se da una parte crescono le figure di manager che fiutano un florido business, dall’altra manca una consapevolezza dei cosiddetti rischi del mestiere. Ci auguriamo che al più presto l’Italia possa prendere l’indirizzo delle due realtà precedentemente indicate.
La tutela parte dalle mura domestiche
In attesa che si faccia luce su questo tema, è importante sviluppare una coscienza individuale a riguardo. Una mentalità che evolva poi in una esigenza collettiva che, a quel punto, non sarà più ignorabile agli occhi di chi ci governa. Porsi i giusti interrogativi su queste tutele vuol dire fare del bene al futuro della nostra società e anche a noi stessi.
Infatti, non possiamo mai sapere quale sarà l’impiego dei nostri figli un domani. Se vuoi rimanere costantemente aggiornato sull’educazione digitale continua a seguire i nostri blog e i nostri corsi.