I videogiochi free to play e le loro trappole
Dopo essersi diffusi per computer e smartphone, negli ultimi anni sono diventati di culto anche nelle consolle. Videogiochi offerti gratuitamente, che si basano sulla cooperazione o l’interazione tra i giocatori al fine di intrattenerli in maniera reciproca. Ma da dove traggono i profitti i programmatori?
Quali sono i rischi per i più piccoli nel mondo dei videogiochi free to play? Scopriamolo insieme.
La genesi dei videogiochi free to play
Tra i primissimi videogiochi del settore ricordiamo QuizQuiz. Nel 1999 proponeva ai giocatori di crearsi un proprio corrispettivo digitale (un buffo omino) che girava nelle stanze per risolvere domande e rompicapi. Nella loro avventura incontravano giocatori di tutto il mondo nella stessa situazione.
I vincitori erano premiati con oggetti e vestiti che migliorassero l’aspetto estetico del proprio alterego virtuale. Questa forma più primitiva di free to play, o Freemium che dir si voglia, è la maniera più semplice di spiegare questa modalità di gioco a chi non ne ha mai sentito parlare.
L’esperimento durò cinque anni, da allora abbiamo attraversato circa 20 anni di prodotti che toccassero un po’ tutti i generi. Sport, azione, giochi di ruolo o gestionali come il famosissimo Farmville: che ebbe il boom proprio su Facebook. Tutti improntati su un obiettivo comune: coinvolgere e intrattenere il più possibile.
Perché hanno successo?
I Free To Play partono da un patto quasi di fiducia con l’acquirente: provare il gioco gratis e proseguire alla stessa maniera. Così da non avere nulla da perdere. Ti fornisce una piattaforma in cui incontrare o relazionarti con altri videogiocatori. Le avventure create da questi sodalizi sono aperte a mille possibilità. Perché non totalmente basate su scenari e antagonisti elaborati in precedenza dai programmatori. Così, se un videogame offline raggiunge magari la longevità di cento ore di gioco prima di considerarsi finito, un Free To Play online ha meno vincoli e quindi potenzialmente infinito.
Per ottenere questo meccanismo, ciò che veramente importa è fornire mano a mano delle gratificazioni al giocatore al fine di ogni missione o partita. Un’arma, se si sta giocando a uno sparatutto, la chance di acquistare un attaccante se si è impegnati a un videogioco basato sul calcio e così via. Aggiungendo magari piccoli eventi a tempistica limitata per invogliare gli utenti a giocare proprio nel periodo stabilito. Ed è in questo terreno che si muovono giochi come Fortnite,Warframe e Paladins. I rappresentanti più celebri del momento in questo settore.
Come guadagnano?
Proprio come nella nostra quotidianità, gli oggetti e le personalizzazioni su un nostro personaggio virtuale diventano oggetto di ammirazione o invidia. Spronando altri amici o giocatori a bramarle e fare di tutto per ottenerle. E se non si è così bravi da raggiungere l’obiettivo che ci darebbe tale ricompensa, si può sempre pagare. Già, perché il vero scopo dei Free To Play, oltre ad aumentare il loro bacino d’utenza, è invogliarti all’acquisto di elementi nel gioco. Magari gli stessi che potresti ottenere impegnandoti cinque ore in un livello, ma con la possibilità di ottenerli tutti e subito. Si chiamano in gergo “Microtransazioni”.
Acquisti a pochi spiccioli (anche 0.99 euro) sempre più invitanti al fine di potenziare la qualità o l’estetica del proprio gioco. Un fenomeno raddoppiato negli ultimi sei anni, che porta nelle casse delle Software House fino a 22 miliardi di dollari.
I rischi
Sono tante le problematiche che possono scaturire dai “Free To Play”. Dagli acquisti durante il gioco che, senza l’adeguata supervisione familiare, possono sconfinare verso ingenti danni economici.
Infatti in alcune nazioni hanno puntato il dito su diverse forme di microtransazioni, accusate di sfociare nel vero e proprio gioco d’azzardo. A tale contesto vanno ovviamente aggiunti i più classici fenomeni di alienazione dei giocatori. Soprattutto se minori è veramente semplice avvertire assuefazione.
L’ultimo caso in Inghilterra: dove una bambina di appena nove anni è finita dallo psicoterapeuta per il gioco chiamato Fortnite.
Le soluzioni
Il confronto e il dialogo con la famiglia e la comunità, resta comunque il primo strumento da adoperare. Nessuna di queste forme d’intrattenimento deve essere demonizzata. A patto che si valuti la reale incidenza di tale videogiochi sulla quotidianità della vita del proprio figlio.
Un campanello d’allarme potrebbe essere quello di dargli più attenzione se lo si vede dedicare a questi gioci, gran parte del suo tempo libero, che magari prima impiegava a socializzare altrove.
I videogiochi online possono essere anche una buona forma per conoscere nuovi amici con i medesimi hobby, l’importante è che non finisca per trascurare tutte le sue altre attività. E’ importante insegnare ai più giovani il valore del danaro. Spiegando loro come spesso i pagamenti online tendano a trarre in inganno anche i più grandi. Perché convincono a spendere danaro che effettivamente non vedi in maniera fisica.
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Attraverso il gioco si divertirà e interagirà con altri coetanei, imparando al tempo stesso a programmare con Scratch e MakeCode!