La povertà educativa è problema serio e digitale
Cosa si intende per povertà educativa? La negazione delle possibilità di apprendere, sperimentare ed evolvere capacità tramite un utilizzo critico, disciplinato ma allo stesso tempo creativo degli strumenti digitali. Una problematica non certo nata durante il lockdown, ma amplificata dalla circostanza. Una situazione non ordinaria che ha messo a nudo nel tempo i limiti delle risorse tecnologiche nel nostro territorio. Attraverso alcuni dati andiamo a percorrere questo importante tema.
Una mancanza nella mancanza
Innanzitutto è importante specificare che l’Italia sia uno dei pochi paesi in Europa che non possiede un sistema di valutazione delle competenze digitali. Un dato oggettivo che proviene comunque dalla Commissione Europea, nell’inchiesta del 2018 a tema dell’International Computer and Information Literacy Study
Un gap ancora sostanzialmente presente
In Italia investire sul tema è spesso un atto rivoluzionario di qualche struttura che agisce in maniera volontaria. Il governo non sembra fare mai abbastanza per incoraggiare il sistema educativo a cercare di abbracciare lo standard di altri paesi.
La rivelazione dell’UE viene confermata da un dossier
Save the Children ha coordinato dei dati in collaborazione con il Centro di Ricerca sull’Educazione ai Media all’Innovazione e alla Tecnologia (CREMIT) dell’Università Cattolica di Milano. Collaborando con il Dipartimento di Economia dell’Università di Pisa, si è arrivato a dei risultati più precisi in merito.
Chi sono stati i soggetti coinvolti nella ricerca?
Parliamo di 772 ragazzi e ragazze tredicenni di 11 città italiane. I soggetti sono stati coinvolti tramite la compilazione di un questionario di base delle competenze digitali. L’indagine pilota ha evidenziato gravi lacune di competenze, da quelle strettamente tecniche a quelle più legate all’esercizio di cittadinanza.
Com’è andata?
Non benissimo. Ad esempio, il 32,8% dei tredicenni coinvolti non è stato in grado di inserire un link interattivo in un file di testo. Mentre il 29,3% non ha saputo scaricare un allegato condiviso da un insegnante sulla piattaforma scolastica. Il 46,1% non è stato in grado di riconoscere una palese bufala che riguardava l’attualità. Più della metà di loro (56,8%) non era a conoscenza di cosa volesse dire concedere a Facebook i diritti sull’immagine caricata. Ben un terzo di loro (31,1%) era convinto che l’età minima per avere un profilo sui social come TikTok o Instagram fosse inferiore ai 13 anni. Infine si attesta al 30,3% la percentuale di ragazzi che non sapeva come rendere il proprio profilo Instagram accessibile soltanto ai propri amici e non pubblico.
Cosa ci dice tutto ciò?
Sono dati che tracciano un profilo globale piuttosto preoccupante. Molti adolescenti non sono allenati ad utilizzare al pieno sia strumenti che applicazioni. Ma la cosa peggiore riguarda la difficoltà di riuscirsi a creare una propria identità digitale sana e informata di rischi e pregi a riguardo. Dall’essere consapevoli delle conseguenze delle azioni compiute online fino alla gestione della propria privacy.
In certi casi è una situazione correlata all’ambiente di famiglia
Non è un bel segnale leggere che il 30% dei minori con forti difficoltà alle domande sull’alfabetizzazione abbiano una madre o un padre con nessun titolo di studio o non superiore alla licenza media. La percentuale oggettivamente scende al 13,9% tra gli studenti con genitori con un titolo di studi superiore. Mentre invece precipita al 5,5% se i genitori sono laureati. L’educazione digitale diventa dunque anche un ostacolo che rischia di inasprire i divari già esistenti su ogni processo d’istruzione. Un neo di disuguaglianza che qualsiasi processo democratico dovrebbe cercare invece di appianare.
E in periodo di DAD il divario si è sentito maggiormente
I dati dell’Istituto Demopolis ci suggeriscono che più di un italiano su due (64%) non ritiene che tutti gli studenti abbiano avuto parità di trattamento e accessi in periodo DAD. Non solo riguardo a lezioni, ma anche contatti con gli insegnanti. Per il 55% è peggiorata nell’organizzazione scolastica e per il 48% nel rapporto tra i ragazzi.
A riguardo cosa vuole fare Save The Children Italia?
L’associazione non si ferma alla mera denuncia. Quest’anno è stata accanto ad un centinaio di scuole superiori di primo grado che operano in contesti sociali difficili. Cercando di sviluppare un piano triennale di approccio innovativo alla cittadinanza digitale. Coinvolti circa 6000 studenti in una vera e propria newsroom cross-mediale.
Cosa si farà in quel contesto?
Unire ragazzi, docenti, educatori e volontari a fini pedagogici. Sperimentando la produzione di reportage e inchieste sul territorio che li circonda. Per poi acquisire, attraverso un lavoro di stampo giornalistico, competenze digitali indispensabili per la crescita. Un progetto con la supervisione scientifica del CREMIT con le risorse del gruppo Crédit Agricole in Italia. Verrà poi valutato per vedere se ci sono i margini adeguati per estendere l’esperimento.
L’importanza di raccogliere dati e contestualizzare
Analizzare, descrivere ed informarsi. Questo è l’unico processo che ci può permettere una evoluzione del sistema scolastico. Aggiornato e paritario. Se ti interessano simili argomenti segui il nostro blog e dai un’occhiata ai nostri corsi, pensati per la crescita tecnologica di tutta la famiglia.