Morire dopo un sondaggio Instagram, è un episodio di cyberbullismo?
Negli ultimi anni i social, non di rado, sono divenuti testimoni involontari un disagio nascosto dietro un account, soprattutto riguardo i minori. I segnali di malessere di un utente possono arrivare da un post, una semplice foto, ma anche attraverso sistemi di Intelligenza Artificiale usati dai social network. Morire dopo un sondaggio Instagram, ad esempio, è ciò che è accaduto ad una ragazza malese di appena sedici anni. Un evento che ci obbliga a fermarci a riflettere ancora una volta su tematiche di cyberbullismo e prevenzione digitale.
Una circostanza tragica
L’episodio di cronaca è accaduto in Malesia. Una ragazza della città di Kuching è stata trovata senza vita in strada dal fratello. Ricostruendo la dinamica dell’accaduto si è scoperto che l’adolescente si sarebbe lanciata dal terzo piano della palazzina in cui viveva. Le indagini della polizia hanno fatto emergere che la giovane, poche ore prima del tragico gesto, avrebbe posto un quesito ai propri followers in una storia. “D o L?”, ovvero “Death or Life”. Vita oppure morte.
Reazione e possibile consapevolezza dei follower
Il 69% dei suoi follower ha scelto la lettera D, il 31% ha votato per L. Parliamo di probabili coetanei, di utenti che nel di di pochi secondi hanno fatto la propria scelta, magari ignari di quello che si nascondesse dietro quelle lettere. Per Ramkarpal Singh, avvocato e deputato nello stato nord-occidentale di Penang, chi ha votato per “la morte” potrebbe essere perseguito per istigazione al suicidio. Un crimine che in Malesia è punibile con la pena capitale. “La ragazza sarebbe ancora viva se la maggior parte dei follower non l’avesse incoraggiata a togliersi la vita? Avrebbe ascoltato il consiglio degli utenti, cercando l’aiuto di un professionista?”. Queste le domande di Singh.
Parliamo di cyberbullismo? Andiamoci cauti
Difficile poterlo definire così attraverso i pochi elementi che abbiamo a disposizione. Non conoscendo i trascorsi sul web della ragazza. Così come è arduo dare la responsabilità oggettiva a dei ragazzi, colpevoli di aver scelto una lettera rispetto ad un’altra. Senza avere la certezza del reale significato che ci fosse dietro a tale domanda. Considerando inoltre quanto grosso stiano rischiando in patria a livello giuridico. Il termine “cyberbullismo” deve essere usato con coscienza, non come una sorta di etichetta da apporre ad ogni tragedia che coinvolga qualcuno su internet. Altrimenti si rischia il processo opposto: generalizzare episodi di cronaca nera sotto un unico nome e non saperli più distinguere. Finendo poi per demonizzare a priori l’uso di internet stesso.
Cosa è mancato in questa situazione?
L’aiuto di un professionista che avrebbe potuto dare una mano alla ragazza e forse a migliorare la sua comunicazione di insoddisfazione con la famiglia. In secondo luogo, l’empatia: magari una persona fidata che le chiedesse semplicemente il perché di quello strano sondaggio. Un parente tra i follower si sarebbe potuto forse insospettire, monitorare i più giovani nelle loro attività digitali può essere vitale. Nel 2017 una ragazza britannica di appena 14 anni, Molly Russell, si uccise dopo aver visto contenuti su autolesionismo e suicidio proprio su Instagram.
Cosa fare?
Proprio dopo il caso di Molly Russel, Instagram, compì notevoli passi avanti, facendo piazza pulita di simili tematiche e contenuti graficamente inappropriati. Ma quanto intervenire per cancellare preventivamente un sondaggio tra due lettere? Ci sono limiti oggettivi nell’azione di monitoraggio e moderazione dei social network. Oltre c’è solo la difesa e l’autodifesa del singolo. Come? Attraverso conoscenza e consapevolezza. Genitori ed educatori sono chiamati di instaurare un dialogo con i minori, per provare a intercettare in tempo utile i disagi più gravi; e per fornire ai ragazzi gli “strumenti” utili a vivere con consapevolezza e serenità il rapporto con gli altri, dentro e fuori la rete.