Professioni digitali: un territorio occupazionale largamente sottovalutato
Si fa fatica oggi a descrivere quel microcosmo racchiuso all’interno dell’espressione “Professioni Digitali”. Spesso si tende a semplificare il concetto con la mera figura del programmatore web. In realtà il mercato del lavoro negli ultimi anni ha prodotto svariate figure professionali importantissime. Vitali per quelle aziende che vogliono rimanere competitive.
Le principali definizioni
Si parte dai Data e System Analyst, che usano dati per creare nuovi modelli di business. Ma anche Help Desk Specialist per migliorare la comunicazione con il cliente o i tecnici hardware-software.
Abbiamo inoltre la figura degli Analisti Funzionali, Technical Consultant e System Engineer. Senza dimenticare gli esperti di Cybersecurity, Robotica e Tecnologie Cloud. E infine i Social Media Manager, che sono la mente della comunicazione aziendale su Facebook, Instagram e territori limitrofi.
La ricerca
Un’indagine di Modis (una società del gruppo Adecco, specializzata nella consulenza in ambito ICT) ha analizzato l’intera categoria. Lo ha fatto pubblicando una ricerca di ben di 141 pagine di statistiche settoriali che fanno emergere dati realmente preoccupanti.
Il 40% delle aziende italiane ha difficoltà a trovare candidati ideali che soddisfino le proprie necessità proprio nel campo delle professioni digitali. Per mansioni che spesso (in una percentuale che varia dal 56 al 90%) necessitano di competenze sempre aggiornate. A volte è la stessa base aziendale ad aver bisogno di una maggiore “alfabetizzazione” in ambito digitale. Ad esempio, solo l’11,90% delle stesse aziende sentite nella ricerca dichiara di conoscere il mondo dei Big Data in modo approfondito.
Previsioni preoccupanti
L’analisi infine si lascia andare a riflessioni abbastanza condivisibili, esaminando i dati. Le difficoltà nel trovare i candidati necessari si tradurrà nei prossimi tre anni in 135mila posizioni in ambito ITC che resteranno scoperte. L’attuale differenza tra domanda e offerta passerà dal 9% di passivo del 2015 al 18% nel 2020. Il managing director di Modis, Cristiano Pechy, valuta il possibile danno per l’Italia. Infatti, a suo dire, la nostra nazione rischia di trovare “la sua crescita frenata dalla mancanza di competenze in uno dei settori che può essere da traino per l’economia”.
I futuri candidati
Il gap che rende quasi “assetata” la domanda di nuovi specializzati della categoria, trova ostacoli nei problemi legati alla formazione di nuove leve.
Si calcola che nel 2016 solo poche centinaia di ragazzi sono usciti dall’università con una laurea legata all’ingegneria in tasca. E per quanto il trend delle immatricolazioni nelle facoltà dell’area ICT sia in aumento (+11% nel 2016-2017), il tasso di abbandono è altissimo (60%). A ciò deve aggiungersi una cifra non irrisoria di studenti che arriva ad appassionarsi al settore in corsi di formazione post laurea. Quindi una presa di coscienza tardiva.
Possibili soluzioni
A dare materiale su cui pensare dovrebbe essere proprio quest’ultimo punto. Riguardo a quei soggetti – più giovani – che solo in un secondo momento arrivano a contatto con simili realtà, e si appassionano al mondo delle competenze digitali. Il perché è presto detto: c’è una carenza informativa a livello nazionale, i giovani a volte nemmeno si capacitano che certe loro passioni potrebbero divenire un lavoro, se coltivate. Non bastano Campus o Open Day per tamponare questa emorragia conoscitiva, bisogna partire dalle basi.
Educare le nuove generazioni alla cultura digitale per impreziosire la loro formazione sin da piccoli. Dando magari loro uno sbocco professionale più agevole in periodi in cui i processi che portano all’occupazione sembrano notevolmente ingolfati. Un concreto supporto di cui, come abbiamo precedentemente appurato, beneficerebbe non solo il mero nucleo famigliare, ma l’intera collettività.