Uso sbagliato dei social network a lavoro ? Occhio ai rischi!
Si discute spesso dei danni in merito all’uso marcato di apparecchi digitali dei nostri figli. Ragionando su come essi li distraggano in ambiente scolastico, modifichino i loro comportamenti sociali e li ostacolino in simili attività. Ma nel quotidiano noi stiamo attenti a mantenere un certo rigore dinnanzi a simili tentazioni di svago? Se la risposta è negativa, bisogna valutarne le insidie. Sempre più provvedimenti disciplinari vengono adottati sui posti di lavoro, quasi sempre anche legittimati in maniera giuridica. A tale ragione ci teniamo a lanciarvi un monito: guardate troppo i social network a lavoro ? Valutate le possibili insidie.
Il caso
La Corte di Cassazione si è espressa da poco contro l’uso di Facebook durante le ore lavorative. Confermando in via definitiva un licenziamento disciplinare di una segretaria part time in uno studio medico. Durante le ore d’impiego, nel corso di un anno e mezzo, la lavoratrice aveva effettuato dal pc circa seimila accessi al popolare portale. Il giudice non ha ritenuto illegittimo il riconoscimento della consultazione di siti “estranei all’ambito lavorativo” che è stato effettuato risalendo all’account Facebook della donna. Nel merito, anzi, “gli accessi alla pagina personale Facebook richiedono una password“, cosa che di per sé esclude “dubbi sul fatto che fosse la titolare dell’account ad averlo eseguito”. In breve, le prove raccolte dall’azienda ai danni della lavoratrice sono legittime. Al dettaglio anzi, è proprio l’elemento che inchioda la lavoratrice sul misfatto.
Le motivazioni
I giudici di merito hanno sottolineato la “gravità della condotta” della donna, “in contrasto con l’etica comune” e “l’idoneità certa” di tale comportamento “ad incrinare la fiducia datoriale”. A gravare sicuramente sulla situazione, il numero copioso degli accessi in media, che hanno fatto immediatamente supporre un impegno non esattamente costante dell’imputata.
Facebook e le sanzioni
Non è la prima volta che la nota effe colorata di blu diventa la causa di una contesa simile. Tempo fa una dipendente aveva denigrato la propria azienda sul network, incassando successivamente un licenziamento per giusta causa, confermato sia dal Tribunale di Forlì che dalla Corte d’appello di Bologna. Nonostante il nome dell’azienda non fosse esplicitato, è bastata una allusione sottolineata per rendere legittimo tale procedimento.
Quanto è troppo, è troppo
La tipica sbirciatina può costare cara. Soprattutto se così frequente. Purtroppo ci sono generazioni intermedie che non sono state abituate all’uso consapevole degli strumenti digitali. Circostanze in cui padri e madri sono “costretti” a regolamentarizzare la presenza sul web dei propri figli senza che qualcuno l’abbia fatto a loro a tempo debito. Perché magari non ce n’era bisogno, perché magari gli stessi social non esistevano. Ed inconsciamente anche il più diligente dei lavoratori può assumere comportamenti sbagliati. In tal caso è bene imparare la giusta dieta degli strumenti digitali assieme ai nostri figli o nipoti, discuterne con loro e avere un approccio consapevole di come si sta online e cosa ci si comunica al suo interno. Anche questa è condivisione, non solo quel tasto a destra dei post presente su Facebook.
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