Un politico riceve un commento negativo? Non può cancellarlo!
I dibattiti politici sui Social Network spesso diventano una sorta di sfogatoio in cui assistere a commenti veramente di bassa lega. I toni si inaspriscono e si rischia davvero di degenerare fin troppo spesso. Ma se la critica si esercita in maniera educata è giusto poterla comunque rimuovere dalla propria pagina pubblica di rappresentante del popolo? In America no. Questa è la storia di un commento negativo che per il giudice non andava cancellato.
L’accaduto
Il cittadino Brian Davidson aveva postato un commento decisamente critico a un post di Phyllis Randall. Non certo una persona comune, ma la presidente del consiglio dei supervisori della contea di Loudoun. Accusata nei giorni scorsi di accuse di corruzione da parte del consiglio scolastico del luogo. Nel suddetto post, Davidson accusava la donna di un conflitto d’interesse. La politica aveva reagito non solo cancellando l’intero post, ma anche bloccando l’utente per 12 ore. Durante le quali ovviamente il cittadino non ha potuto ribadire alcunché sui contenuti condivisi dalla signora Randall. Né tanto meno poter chiedere spiegazioni a lei o al suo staff tramite invio di messaggi privati.
La reazione dell’uomo
Brian Davidson non si è dato per vinto e ha denunciato l’accaduto. Clamorosamente il tribunale distrettuale federale si è espresso in suo favore. Dichiarando che Randall, con tale gesto di ban, avesse leso i diritti del querelante. “La soppressione del commento critico nei confronti degli eletti è la forma per antonomasia di discriminazione da cui protegge il Primo Emendamento” ha così sancito la corte. Randall avrebbe dunque “commesso un peccato capitale contro il Primo Emendamento”. Ed è ciò che emerge dalle 42 pagine della motivazione della sentenza. In cui le è stato anche ordinato di non bloccare mai più i commenti critici sulla sua pagina Facebook.
In Italia?
Sarebbe interessante ipotizzare una simile circostanza anche nella nostra penisola. Dove la classe politica non sempre garantisce al cittadino un equo diritto di replica sulla propria pagina. Un segno di debolezza che già di per sé può comportare una perdita di consenso, e che sicuramente non agevola la trasparenza del confronto. Di certo ci sarebbe bisogno di alimentare una “cultura del confronto” e la conoscenza di un galateo dei Social Network. Saper replicare con garbo, resistendo a possibili provocazioni senza perdere mai di vista gli argomenti del dibattito. Anche per questo serve quindi una consapevolezza digitale, che deve partire dal singolo cittadino fino ai nostri rappresentanti. Noi di Digital Education Lab ci battiamo da sempre anche su questo.
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