Videogiochi. Luogo di dialogo o di scontro tra genitori e figli
Videogiochi sì, ma con tempistica negoziata sia per bambini che per adolescenti? O un atteggiamento di rigore assoluto: solo alcuni game concessi ma previa approvazione e controllo, con tempo molto parcellizzato? Con quella minaccia sempre in agguato, niente videogame per una settimana o più se si riporta a casa un brutto voto da scuola.
Videogiochi: un ring genitori contro figli?
Il terreno di scontro tra genitori e figli, soprattutto adolescenti, diventa nella realtà una questione di quanto sia legittimo che i ragazzi dedichino tempo e attenzione ai giochi on line che si animano sui video di smarphone e tablet e che li catturano a tal punto che gli adulti li vedono risucchiati in un universo sconosciuto, sottratti al loro controllo e probabilmente anche al loro amore. Il tempo presente mostra che questo scenario può essere davvero molto meno drammatico. Genitori e figli frequentano col sorriso sulle labbra e atteggiamenti di complicità le Aree Family delle Game Week a Milano – che si è conclusa lo scorso 10 ottobre – o a Parigi dove l’ottava edizione si svolgerà dal’1 al 7 novembre a Porte de Versailles. La problematica è sentita dovunque, le figure di mediazione gli esperti sono spesso presenti, al di fuori della proposta commerciale.
Le parola magiche sono : coinvolgimento, intergenerazionalità, alternativa all’isolamento
Il parere dell’esperto
Così guardando i bambini giocare assieme ai genitori viene da domandarsi se i videogiochi possano essere addirittura uno strumento per avvicinare generazioni diverse. Stefano Triberti ricercatore all’Università Cattolica del Sacro Cuore dove insegna Ergonomia e User Experience e Psicologia della Comunicazione, è un esperto spesso presente con seminari e workshop proprio in questi saloni internazionali di videogaming, dove la materia è presentata anche come un ambito di specializzazione per entrare nel mercato del lavoro. La sua indicazione non è: quali giochi sono migliori di altri, o come sceglierli, ma qual è il modo corretto di gestire la passione dei figli.
Proprio in preparazione delle Paris Game Week ha risposto a media L’Etudiant: “La modalità più vantaggiosa è che sia l’adulto a introdurre il bambino al videogioco, a scegliere i titoli, ad accompagnarlo nell’esperienza di gioco. Invece denigrando o vietando l’utilizzo del videogioco con il sopraggiungere dell’adolescenza, accade che i ragazzi si procurino, di solito, prodotti non adatti alla loro età”.
Videogaming sì ma dalla stanza al soggiorno
L’ approccio partecipativo è la chiave sia nei bambini che negli adolescenti: “E’ molto positivo perché in un contesto come il videogioco occorre tenere presente che i ragazzi sono più rapidi degli adulti, imparano più velocemente, hanno un miglior controllo motorio e a volte si ritrovano in una posizione di insegnamento rispetto al genitore”. Insomma s’innesca un gioco delle parti, che esprime un momento costruttivo della sfera cognitiva del bambino, e l’interazione – addirittura con i genitori – lo libera da molti pericoli.
Restano tantissimi dubbi e timori: proprio i genitori soni bombardati da notizie contraddittorie, sulla possibilità di evitare che i figli subiscano gli effetti del binomio videogioco e induzione alla violenza.
Lo scontro tra il bene e il male
E’ abbastanza chiaro che sia quasi impossibile immaginare una riduzione del contenuto di violenza dei videogiochi, la narrazione è tipicamente conflittuale: connotata quasi sempre dallo scontro fra il Bene e il Male. I giocatori per vincere devono trionfare sulle forze avverse, l’eroe deve poter eliminare i suoi nemici. Christian Happ, André Melzer e Georges Steffgen in un loro famosissimo saggio* avevano individuato una possibilità interessante : combattendo nei panni di un eroe positivo – che per vincere deve picchiare gli avversari malvagi, però lo fa a fin di bene – il giocatore non vede aumentare la propria aggressività, ma i comportamenti pro-sociali. L’equazione gioco “cruento“ e aggressività del giocatore non è così immediata: “Tra gioco e giocatore avviene sempre una negoziazione. E la mediazione è svolta da molti fattori diversi, dalla personalità dell’adolescente, o del bambino, all’educazione che ha ricevuto. Dunque non esiste mai un rapporto diretto, di carattere meramente imitativo, fra gioco violento e comportamento violento”, scrivevano nel 2013 gli esperti Happ, Melzer e Steffgen.
L’eroe positivo
Se poi si vuol dare un’occhiata a ciò che offre il mercato in termini di video game coinvolgenti e anche app alternative , l’offerta è grandissima. Tra i video game con contenuti più creativi e con uno storytelling che fa leva sulle emozioni e i sentimenti che i ragazzi vivono nella real life ci sono gli ultimi titoli del catalogo Telltale: saghe per tutti i gusti, dagli zombie di Walking Dead a Batman, passando per le avventure dei Guardiani della Galassia. Altri, come Life is Strange sviluppato dalla Dontnod Entertainment o The Witcher ‘s (del team polacco CD Projekt RED) richiedono invece scelte morali.
Negli Stati Uniti a fare – tra gli altri interventi della sua mission – un’autentica selezione delle “Best Apps for Kids Age 13–17” è Common Sense , l’organizzazione indipendente senza scopo di lucro dedicata ad aiutare i bambini a crescere in maniera sana e armoniosa nel mondo dei media e della tecnologia.
Le migliori app scelte per adolescenti possono offrire un mondo avvincente sia per il loro divertimento che per arricchire la loro esperienza umana. Le applicazioni scelte da questa organizzazione, finanziata anche dalla Fondazione Bill e Melinda Gate, coprono un’ampia gamma d’interessi per gli adolescenti, dai giochi e alle applicazioni per la creazione digitale, dalla musica ai social network. La lista delle app consigliate per i ragazzi dai 13 ai 17 anni, contiene una trentina di titoli che toccano molti temi, alcuni sociali, creativi ed educativi.
Proviamo noi di DEL a dare un’occhiata e raccontarvene qualcuno che ci ha interessato di più al prossimo post. Intanto potete provare voi esplorando la lista: Browse Best Apps for Kids
* Cyberpsychology, Behavior and Social Networking” – pubblicato nel 2013 da Mary Ann Liebert Publishers.