Derisi, ammirati, spesso invidiati. A volte persino emulati dai nostri figli. A prescindere dai sentimenti che possano suscitarci, sono la categoria più discussa di questo decennio. Ma crediamo agli influencer per davvero o è solo una convinzione pubblicitaria? Abbiamo analizzato uno studio recente che può farci riflettere riguardo questo tema.
Crediamo negli influencer o è solo illusione?

Il rapporto fiducia
Se prima era un problema solo della televisione, oramai anche su internet è sempre più difficile ottenere una porzione di credibilità. Nel mondo della sharing economy e delle recensioni, ogni singolo oggetto ed esperienza viene descritta e recensita da una moltitudine di individui. Al punto che cercare pareri disinteressati da piccole o grandi celebrità diventa veramente un esercizio raro. In America pare sia solo il 4 per cento la fetta di pubblico disposta ancora a “fidarsi” del parere di un influencer.
La fonte della statistica
La web media agency UM ha elaborato questa specifica indagine di mercato basandosi proprio sulla propria attività di comunicazione e pubblicità. Tracciando più di 56 mila naviganti per 83 nazioni, con lo scopo di interrogarsi sulla trasparenza dei brand e dei loro collaboratori, dichiarati o meno.
Già, la trasparenza…
Ci riferiamo a quel fenomeno di pubblicità e partnership velate e non dichiarate. Le cosiddette “pubblicità occulte” che girano sui social e che, in diversi paesi, non sono ancora giuridicamente regolamentate. Ad esempio nel Regno Unito pare proprio non piacciano. Infatti è stato il primo paese a costringere gli influencer a specificare se stanno facendo una promozione ad un brand e se dietro al loro post non ci sia nessun accordo preliminare. In America, a tal scopo, si sta battendo il FTC con azioni del medesimo tenore.
La pubblicità dichiarata non è l’unico problema per gli influencer
I primi ad aver fatto pressione ai social network come Instagram e Twitter per liberarsi il più in fretta possibile dei fake account sono stati proprio i brand. I numeri di follower gonfiati infatti sono tra i primi nemici dei marchi che vogliono affidare la loro autorevolezza ad un testimonial. E non tutti gli influencer sono corretti nel dichiarare la reale portata della loro audience.
Nonostante tutto, il parere qualitativo paga.
Se gli influencer generici non se la passano troppo bene, le opinioni online di figure specializzate contano ancora tantissimo. UM ha scoperto che quasi la metà dei britannici (36%) ha fiducia delle recensioni di blogger e vlogger che recensiscono prodotti e servizi specifici. A livello mondiale questa percentuale sale addirittura al 42%. Nonostante due anni fa le cifre fossero più alte (46% per i residenti in UK e 54% su base mondiale). Insomma essere specializzati paga.
Questa flessione ha un senso
I controlli stringenti sulla genuinità dei pareri online e le inchieste sugli influencer che abbiamo citato precedentemente, ha reso le persone non più scettiche, ma certamente più attente nella lettura delle recensioni. Scegliendo con maggior accuratezza di chi fidarsi.
Contromisure in futuro
“Le misure in merito al GDPR sono rivolte ad incrementare la fiducia del consumatore. Soprattutto in merito a come vengano conservati i dati personali“. Ha dichiarato la blogger Liz Haas. “La fiducia del consumatore sarà la nuova moneta dell’internet del domani e i brand dovranno dimostrare la loro trasparenza e affidabilità quando richiesto loro“.
Se ti è piaciuto questo articolo continua a leggere il blog e seguici sui canali social di riferimento.