Perché (e come) è ancora necessario parlare di Blackout Challenge oggi
Più di due anni fa avevamo segnalato questa pericolosa sfida mentre si diffondeva in rete. Purtroppo ancora oggi la situazione resta insidiosa. La colpa è anche delle informazioni a volte confuse, che tendono ad inquinare l’analisi di una situazione specifica. E bisogna ancora parlare di Blackout Challenge oggi, per contestualizzare questo fenomeno in maniera utile.
L’attualità
Il 21 gennaio alle 10.53 l’Ansa ha riportato la notizia di una bimba di 10 anni ricoverata in uno ospedale palermitano nel reparto di rianimazione. Morirà poco dopo per arresto cardiocircolatorio in seguito ad un’asfissia prolungata. Le prime ricostruzioni già parlavano dell’alta probabilità che la bimba si fosse soffocata con una cintura. Indotta purtroppo da una sfida trovata sul web, su TikTok nello specifico. Ci riferiamo proprio alla blackout challenge, chiamata nei lanci di agenzia anche hanging challenge.
Le responsabilità di TikTok
Fare una indagine sul popolare social non è difficile. Come su Instagram, gli argomenti sono divisi per hashtag consultabili. Sorprenderà però scoprire che, sotto i #blackoutchallenge e simili, non ci sia traccia effettiva di questa pericolosa sfida che invita i ragazzi a rischiare il soffocamento. Nelle popolari clip, si parla di blackout solo come riferimenti alla mancanza di elettricità, ma niente che abbia a che fare con le sfide alla morte.
Quale può essere la ragione?
Il machine learning della piattaforma ha già rimosso le clip? Ipotesi plausibile che ci siano state solo in passato. Sono meglio nascosti tra i meno popolari? Più improbabile, la componente virale è l’elemento che rende queste sfide insidiose. C’è però un’alta percentuale di rischio che la ragazza abbia scoperto indirettamente questo macabro rito.
La ricerca
Infatti in un sondaggio di questo mese realizzato da Skuola.net emerge che il 31% dei ragazzi intervistati dice di conoscere il gioco attraverso letture sul web, mentre il 25% ne è venuto a sapere tramite video postati sui social. Un 17% indica il passaparola dei coetanei. Della pratica quindi, ne sono a conoscenza il doppio dei ragazzi rispetto a due anni fa. Ma il rischio rimane: venire a sapere della blackout challenge senza che quest’ultima venga ben spiegata, può sortire l’effetto opposto. Ovvero l’incremento dell’emulazione.
Perché i dati più preoccupanti sono altri
Tra questi ragazzi più “informati” infatti, il 18% afferma di aver anche partecipato al gioco, mentre il 30% di loro ha provato questo stato di morte apparente anche solo per curiosità. Parliamo di cifre che coinvolgono rispettivamente uno su cinque e uno su tre. Le motivazioni? Tentare di creare un video virale (56%), divertimento del proibito (10%), provare la sensazione di incoscienza promessa (8%). Addirittura l’avere una scusa per saltare scuola (5%). Un numero nemmeno esiguo di intervistati nemmeno sa dare risposta sul perché (21%).
Quindi è giusto concentrarsi su TikTok?
Incrociando le riflessioni, pare evidente che non sia il social network in sé il probabile diffusore di questa pericolosa moda. Una delle minacce peggiori che dovremmo affrontare è dietro un flusso enorme di notizie prive di una contestualizzazione specifica, che possono fare più male che bene. Ciò non toglie che la piattaforma potrebbe difendere meglio i propri utenti. Ad esempio monitorare l’età degli iscritti alla piattaforma e sponsorizzare di più l’opzione Collegamento famigliare già presente da febbraio dell’anno scorso. Ad essa si accede dalle opzioni, sotto la sezione privacy. Permettendo al genitore di monitorare molte cose: dal tempo d’uso dell’app fino al concedere la possibilità che degli sconosciuti possano interagire con i nostri figli. Esiste una guida chiara e la offre proprio TikTok.
La reazione del Garante della Privacy
Il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto nei confronti di Tik Tok il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica. L’Autorità ha deciso di intervenire in via d’urgenza proprio a seguito della terribile vicenda della bambina di 10 anni di Palermo. Il Garante già a dicembre aveva contestato a Tik Tok una serie di violazioni: scarsa attenzione alla tutela dei minori; facilità con la quale è aggirabile il divieto, previsto dalla stessa piattaforma, di iscriversi per i minori sotto i 13 anni; poca trasparenza e chiarezza nelle informazioni rese agli utenti; uso di impostazioni predefinite non rispettose della privacy. In attesa di ricevere il riscontro richiesto con l’atto di contestazione, l’Autorità ha deciso comunque l’ulteriore intervento odierno al fine di assicurare immediata tutela ai minori iscritti al social network presenti in Italia. L’Autorità ha dunque vietato a Tik Tok l’ulteriore trattamento dei dati degli utenti “per i quali non vi sia assoluta certezza dell’età e, conseguentemente, del rispetto delle disposizioni collegate al requisito anagrafico”. Il divieto durerà per il momento fino al 15 febbraio, data entro la quale il Garante si è riservato ulteriori valutazioni.
L’informazione come chiave preventiva
Ci risulta incredibile come uno strumento così utile e vitale sia così poco sponsorizzato non solo dai media, ma dalla piattaforma stessa. Una corretta campagna informativa a riguardo, aiuterebbe non solo numerose famiglie a sentirsi più al sicuro ma anche a non demonizzare eccessivamente i social. Perché, come abbiamo visto, dati specifici parlano di una minaccia dalle fonti più generiche. Sarebbe dunque utile usare l’arma della condivisione più come strumento di conoscenza, e verso una informazione sempre più lucida. Questi sono anche gli scopi di Digital Education Lab, a cui miriamo attraverso il nostro blog e i nostri corsi, pensati per affrontare il futuro del digitale con la giusta serenità e sicurezza.