Facebook multato per aver cancellato un account
Dovremmo riflettere sempre più spesso sul cosiddetto valore della nostra identità digitale. Nei primi periodi del decennio scorso valeva il detto: “Essere famosi sui social conta come i soldi al Monopoli“. Oggi abbiamo decisamente un’altra percezione del fenomeno. I follower o le interazioni di ciò che pubblichiamo per una determinata nicchia di pubblico hanno un valore. Lo dimostrano anche alcuni casi degli ultimi mesi. Ne prendiamo uno in analisi. Facebook multato, ecco perché.
La storia di Vincenzo De Gaetano
Il signor De Gaetano è un appassionato di oggetti militari e collezionista. Condivideva il suo interesse con altri estimatori del settore. Due anni fa, si vide cancellato improvvisamente il suo profilo. Con essi ovviamente si spezzarono anche alcuni legami difficili da ricostruire. Non c’è infatti una sorta di database da cui poter ricostruire in maniera perfetta l’intera “rubrica” contatti. Oltre al danno c’era anche la beffa: ovvero l’utente non aveva combinato nulla per ricevere l’espulsione.
L’ulteriore problema
Il profilo smarrito gestiva anche tre pagine di alto interesse per la comunità del settore, rappresentando quindi una sorta di effetto domino di grattacapi non solo per il singolo utente. Sono situazioni in cui solide community si ritrovano nel disagio di doversi riorganizzare per colpa di un imprevisto. Dovuto probabilmente ad un algoritmo che ha fatto cilecca.
La guerra legale
Vincenzo non ci sta e pensa l’impensabile. Fronteggia Facebook come un novello Don Chisciotte contro i mulini a vento. Ma, alla fine, vince. Merito del suo staff legale di avvocati che ha impostato e discusso la causa, composto da Claudia Pedicini (cesenate), Valeria Damiani e Giulia Panizza.
Cosa ha chiarito la sentenza?
Facebook non solo aveva cancellato l’account, ma anche eliminato tutte le informazioni relative al profilo e alle pagine. Questa cancellazione non era motivata da una circostanza specifica su un eventuale trasgressione del regolamento della piattaforma. L’uomo, a causa di ciò, era stato danneggiato dalla perdita di circa un decennio di rapporti sociali istaurati attraverso il social. Oltre ad aver perso tante informazioni non più recuperabili.
La difesa del social
La causa è stata ovviamente complessa. Citando direttamente Facebook Ireland, il social ha chiesto che il dibattito fosse spostato nella sede locale e non a Bologna. Il giudice però ha fatto valere la legislazione a difesa del consumatore e ha tenuto immutato il teatro del confronto.
La controffensiva
A quel punto il social si è appellato all'”indeterminatezza della domanda arrivata dal ricorrente”, perché appunto il profilo e le pagine erano stati rimossi. Ammettendo però che esistesse un account e di non poter far più nulla per il profilo, essendo passato troppo tempo. A quel punto sono state preziose le mail inviate all’utente. Esse già attestavano la distruzione dei dati del profilo già dal giorno successivo al provvedimento stesso.
Un provvedimento incoerente rispetto alle regole della piattaforma
Facebook non poteva procedere alla distruzione dei dati senza fornire una motivazione specifica. Il regolamento a riguardo e ben specifico. “La rimozione di contenuti e la sospensione o cancellazione di account è prevista soltanto per le giuste cause indicate nel regolamento contrattuale. Con l’obbligo per il gestore di informare l’utente delle ragioni della rimozione“.
E riguardo la distruzione dei dati?
Il giudice ha sancito per essa: “Un’evidente condotta contrattuale profondamente scorretta”, che non permetterebbe di rimediare all’errore commesso. Tra l’altro si tratta di documentazione immateriale che si conserva agevolmente senza costi eccessivi. E in più Facebook al momento sta conservando dati relativi a 2,7 miliardi di utenti, una quantità comunque enorme.
Come ha fatto il signor De Gaetano a mostrare la bontà del suo operato?
Ricostruendo a fatica una parte dei suoi contatti, che confermavano la buona pratica del suo lavoro svolto nel corso degli anni. Spesi soprattutto in due pagine dal titolo “Collezionismo, militaria e legge” e “Libri e riviste storia militare”. In esse aveva caricato documenti e sentenze di grande interesse dei cultori del settore. Essendo lui stesso uno stimato avvocato.
I risultati della sentenza: Facebook multato
Il social è stato costretto a pagare ben quattordicimila euro di risarcimento per il danno subito dall’utente. Ma anche altre dodicimilamila euro come punizione per una sorta di “lite temeraria”. Nel secondo provvedimento si sottolinea come la piattaforma “sia venuta meno a elementari regole di correttezza processuale”. Il giudice ha insomma condannato anche la pratica di eliminare ogni traccia dell’oggetto di contesa, rendendo di fatto più difficile la ricostruzione del caso.
Cosa bisogna considerare
I contenuti che produciamo nelle piattaforme, fanno parte del nostro modo di agire e background. A riguardo c’è sempre meno distinzione tra il nostro operato virtuale e fisico. Entrambe le identità vanno preservate con la stessa cautela. Ambedue possono migliorare o peggiorare la nostra reputazione. Modificando l’immagine che la società ha di noi e delle potenzialità. Ed è quindi normale pretendere una tutela adeguata e saperla ottenere.
Un discorso che è specificato anche nella sentenza
Nell’ordinanza del 10 marzo scorso il giudice di Bologna definisce “Facebook non è solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero“. Ciò identifica un account come una componente della propria identità relazionale, elemento che non può essere cancellata definitivamente senza un debito avviso e senza la possibilità dell’utente di contro-argomentare le sue ragioni.
Sapersi difendere
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