I ragazzi trascorrono troppe ore davanti ai monitor durante la pandemia?
Molte argomentazioni sono dure a morire ma andrebbero trattate con i corretti approfondimenti, contestualizzandole. I ragazzi trascorrono troppe ore dinnanzi ai monitor? La vicenda è oggetto di studi da almeno tre generazioni. La polemica scaturita da una riflessione del NY Times ha riaperto un teatro di confronto.
L’epicentro della polemica
Il 16 gennaio viene pubblicata la cosiddetta pietra dello scandalo in prima pagina. L’articolo in questione si snoda su diversi punti, per quanto a volte frammentari. Qustodio non è solo un filtro parental control, ma anche una società di ricerca sui comportamenti online dei ragazzi che vanno dai quattro ai quindici anni. Nel suo ultimo studio ha denunciato che in Usa il tempo che i giovani passano davanti ad uno schermo è esploso. Ad esempio 97 minuti su Youtube, il doppio rispetto all’anno precedente.
Le riflessioni dei genitori
L’articolo di Matt Ritchel lega questo dato ad alcune testimonianze un po’ sparse. Dal papà che si chiede se sia l’ora di acquistare un puzzle per invogliare all’analogico, fino alla famiglia che si chiede se non ha accelerato il processo di digitalizzazione della propria figlia di undici anni, regalandole un Xbox. Questi spunti rappresentano gli elementi “sani” dell’articolo, che poi scivola verso particolari che lasciano alcune perplessità.
L’approccio negativo
“Cosa farai quando sarai sposato e stressato? Dirai a tua moglie che hai bisogno di giocare all’Xbox?”. Si domanda ad un certo punto l’autore, come se di per sé la pratica di un hobby a scopo di allentare la tensione sia un fattore allarmante. Considerando che nessuno avrebbe da ridire verso un padre di famiglia che pratica dello Jogging controllato per allentare la tensione. Censurabile è di fatto anche un altro passaggio: un padre che si dichiara di aver “fallito” con suo figlio semplicemente perché questi trascorre del tempo ai videogiochi e usa uno smartphone in un periodo in cui le sue altre attività sociali sono limitate dalla pandemia. Ma questi episodi non andrebbero contestualizzati al panorama odierno?
Questione di qualità e quantità davanti ai monitor
Bisognerebbe meglio analizzare le antiche paure di videodipendenza che esistono dai tempi del Super Nintendo. La pandemia in corso ci ha costretti a riunioni tramite Zoom, ha chiuso le scuole portando i ragazzi a studiare e fare verifiche su app e tablet in classi virtuali, ha limitato i nostri contatti personali. Nonostante ciò è possibile darsi delle regole che rispettino il bisogno della socializzazione che, per forza di cosa, in questo periodo avviene più dinnanzi ad un monitor. Stabilire delle pause creative, preferire le chiacchierate telefoniche dei nostri figli su Discord rispetto alle lunghe chat che affaticano gli occhi. Interessarsi alle loro attività e spendere un po’ di tempo con loro per capire cosa li affascina. Esempi in cui il buon senso può esserci più utile di qualsiasi testimonianza selezionata a volte senza troppo criterio e a scopo di sensazionalismi.
Riguarda tutti noi
Un ragazzo che si impegna cinque ore di fila dinnanzi a Minecraft può rappresentare un pericolo per la sua produttività o salute quanto un adulto che passa ininterrottamente 10 ore davanti ad un PC. Nell’osservare gli altri, diamo sempre un occhio anche a noi stessi. Ci sono strumenti come questo per farlo, e i dati che emergono possono sorprendere. Perché spesso una famiglia dalle abitudini digitali sane, parte proprio dalla base, da ciò che essi vedono in chi li cresce. Noi di Digital Education Lab teniamo ad una sana fruizione delle innovazioni, dal nostro blog ai nostri corsi, che offrono un approccio sano alla tecnologia.