Perché Wikipedia Italia ha oscurato le proprie pagine il 3 luglio?
Probabilmente ve ne sarete già accorti. In data 3 luglio tutte le voci della più famosa enciclopedia digitale sono state celate da un annuncio importante nel nostro Paese. L’iniziativa, replicata da ogni nazione per i propri lettori, vuole protestare contro una legge che, se dovesse passare così com’è, metterebbe a serio rischio il mondo di internet così come lo conosciamo oggi. Avendo già in passato seguito il rapporto tra le vicende che legavano l’UE ai contenuti digitali, abbiamo deciso oggi di parlare del perché Wikipedia Italia ha oscurato le proprie pagine.
Le origini
il 20 giugno scorso, la Commissione giuridica del Parlamento Europeo (JURI) aveva approvato le proposte contenute nella nuova direttiva per il copyright. Sono state definite determinanti al fine di introdurre alcuni aggiornamenti in merito alle norme per la tutela del diritto d’autore. Tale direttiva contiene due articoli citati da Wikipedia nel suo messaggio di protesta.
A cosa si riferiscono i due articoli?
Il primo dei due è stato ribattezzato “Link Tax”, e stabilisce che gli editori possano chiedere un pagamento a chiunque condivida un articolo in qualsiasi forma. Regolamentando la ripubblicazione di snippet e ritagli dell’articolo su altre piattaforme. Colpendo alcuni aggregatori come Anygator (che da tempo fungono da contenitore/notiziario riassuntivo della giornata) ma anche Wikipedia e Google.
Che sia essa una citazione o un link. Il secondo dei due punti è l’articolo 13. Stabilisce che qualsiasi contenuto soggetto a copyright, se ricaricato (anche in forma rielaborata) da chiunque non abbia diritti sul suddetto, sarà censurato e addirittura multato.
Come si svolgerebbe il controllo?
Il sistema che messo in atto per fare da garante sarebbe simile al Content ID di YouTube.
Si controllerebbe quindi che ogni contenuto nuovo caricato non possieda frammenti protetti da copyright e su cui l’utente in questione non ha diritti. In tal maniera da escluderli immediatamente dal sito o svelarli solo con pubblicità, condividendo i ricavi con gli effettivi proprietari del diritto d’autore.
Il Content ID è un sistema estremamente complesso e composito su cui YouTube ha lavorato oltre dieci anni. Come potremmo mai convertirlo per un qualcosa che monitori ogni contenuto “upodatato” online (in forma scritta e fotografica) all’interno nell’Unione Europea? Difficile. Molto difficile.
Quali sarebbero le conseguenze se questa legge passasse?
L’ esempio
Ricordate la celebre immagine che ritraeva il calciatore Messi con una espressione piuttosto perplessa durante il match Juve Barcellona di Champions League l’anno scorso? Divenne virale. Ne seguirono diverse riedizioni con scritte o fotomontaggi più fantasiosi e divertenti in ogni angolo del web.
Se un domani dovesse passare la legge della quale vi stiamo raccontando, probabilmente nascerebbero problemi sia sulla paternità dell’idea che sui diritti delle riprese video da cui era tratto il buffo frammento. E sulla falsa riga di questo scenario potreste riflettere su qualsiasi contenuto divenuto trend sui social dal 2008 a oggi.
Chi sta spingendo per un tale adeguamento?
Grandi piattaforme online ed editori. I quali chiedono da anni a Google di pagare una sorta di cifra annuale forfettaria che funga da compenso per la loro attività di segnalazione e link quotidiana. Il motore di ricerca infatti, utilizzando le righe di anteprime e aggregatori tra social e vari canali (ad esempio Google News), finisce per “svelare” le notizie. Portando sempre più l’utente a informarsi senza cliccare direttamente sui portali. Facendo ciò, questi ultimi vedono ridotti i propri introiti, in primis quelli pubblicitari. Google in questi anni ha comunque avviato numerose iniziative per finanziare progetti dei siti di notizie, in modo da attenuare il problema ed evitare richieste più esose da parte dei giornali online. Ma evidentemente non a tutti basta questo palliativo.